Sunday, November 19, 2006

Produzione letteraria varia

Pino

ha pubblicato un album (2 CD) dal titolo "Quelli della sezione H"

(prossimamente l'indice degli inserti)


Per riceverlo bisognava aver accumulato almeno 5 note di biasimo sul registro. (Io - Fabio, ho ricevuto 2 album. Boh? )



Pino dopo il successo del suo libro di favole, sta per pubblicare un secondo libro per il quale Massimo ha scritto la prefazione che segue:

Chi scrive un racconto, come chi lo legge, vive la scrittura come un processo immediato e lineare, dove il contenuto si manifesta in modo diretto e compiuto: basta scrivere, o leggere, e ciò che è nelle righe prende forma e va in scena. Chi scrive, come chi legge, vive il testo essenzialmente come storia che coincide con i fatti e con i pensieri che scorrono nelle parole e nell’intreccio da cui siamo avvinti e ipnotizzati. Ed è giusto che sia così, se vogliamo che un racconto sia letto con partecipazione e immediatezza.
Ma una pagina, a ben vedere, dice molto più di quanto esplicitamente racconta. Un testo rivela molte cose dell’autore, del modo con cui sente e rappresenta ciò che vuole dire, del suo temperamento. Scrivere (leggere) una storia è un po’ come indicare (seguire) una strada: si va a vedere cosa c’è dietro una curva, si scopre cosa c’è oltre il monte, per giungere poi alla fine e sapere dove porta la via. E tuttavia una strada non è solo un percorso: chi cammina butta l’occhio intorno, coglie angustie e bellezze, avverte aspettative, ansie, felicità, sorprese. La strada finisce per essere un’immagine di chi l’ha suggerita, rivela l’autore anche oltre le sue intenzioni.
Questi racconti, il modo in cui procedono, i pensieri che evocano, sono lo specchio fedele del proprio autore. Spiego in che senso.

Spaventi d’autunno è una raccolta di storie legate, a livello narrativo di superficie, dal comune denominatore di contenere tutte un momento di emozione intensa, di trepidazione saliente (lo spavento) attraverso cui lo svolgimento degli eventi deve necessariamente passare.
Avere paura vuol dire essere vivi, la paura è un sintomo inequivocabile di vitalità: lo spavento ne è la sua forma più intensa e manifesta, oltre a esserne la più ancestrale e infantile. Dove c’è spavento si affaccia la prospettiva momentanea di una caduta fatale, di un annullamento irrimediabile; ma si profila anche la possibilità di un piacere, di una novità e di un benessere che si può raggiungere solo attraverso un trauma, un passaggio critico. Lo spavento è il sintomo di un prossimo dolore, come pure di una prossima catarsi. Ma per arrivare alla catarsi, al recupero, al ritorno della quiete, si deve prima passare nell’angoscia del marasma e della perdita, bisogna attraversare il tumulto del dramma. Ecco la struttura palese e lineare (il livello narrativo di superficie) di questi racconti.

Chi scrive questa breve nota introduttiva ha la sorte - la fortuna - di conoscere Pino Mercuri da tempo. Caro Pino, quest’anno 2007 dell’Era cristiana e volgare (l’altra fu l’Era degli eroi e del mito pagano su cui ci erudirono sui banchi di scuola) - quest’anno, dicevo, la nostra conoscenza conta esattamente mezzo secolo! Ci siano conosciuti nel Cinquantasette. Ora, chi conosce Pino Mercuri – anche da meno tempo di un mezzo secolo - non può non aver notato che la sua vita, nella quotidianità ordinaria come nei momenti più importanti, è sempre caratterizzata da una intensa vitalità emotiva, da un’attitudine all’emozione reattiva e manifesta.
Non ci si annoia con Pino Mercuri, neppure se si va a prendere il caffè. La sua disponibilità alla sorpresa, al colpo di scena è permanente. Lo spirito d’osservazione pronto allo stupore, anche per i fatti più minuti, è sempre vigile. Caro Pino, insieme, abbiamo vissuto stupori e spaventi (microspaventi) che ci hanno sciolto, ci hanno letteralmente squagliato nella catarsi delle lacrime di risate incontenibili. Molte volte non è servita neanche la parola; è bastato uno scambio d’occhiate per cogliere la comicità, il grottesco serpeggiante nelle situazioni e nei luoghi più seri e poi dover scappare – realmente scappare – da un’aula, da un bar, da una sala di teatro, in preda al riso irriverente e convulso, per evitare l’ira, il biasimo deplorevole dei presenti. Si! Emotivamente, quella di Pino Mercuri è una vita costellata di “spaventi”, o come direbbero generazioni successive alla nostra “una vita…da paura!”. E questo, con la propensione immediata a fare ogni volta dello stupore e dello spavento l’occasione di un’affabulazione, di un’esternazione istrionica, di un passaggio alla narrazione: ché le cose non sono veramente accadute fino a quando non sono raccontate, partecipate ad altri.
In questo senso, questi racconti sono lo specchio fedele dell’autore; e in questo senso, piuttosto che in quello banale dell’effettivo accadimento dei fatti (così vivamente immaginati da sembrare realmente accaduti), questi racconti sono genuinamente autobiografici. Ma c’è di più.

Buona parte degli Spaventi si riferiscono ad anni in cui il protagonista è un ragazzo e prima ancora un adolescente, altri toccano avvenimenti nazionali ed internazionali di molti anni fa. Ma attenzione! Gli Spaventi sono stati scritti ora, di getto, nel 2006. Gli Spaventi sono il frutto della scrittura di un uomo nel pieno della maturità. C’è qualcosa di singolare e di sorprendente in un tale lasso cronologico, perché questa scrittura – spiegherò brevemente il perché – ha l’autenticità, direi le “scombiccheratezze”, di un diario adolescenziale.
Si racconta per far sapere, ma si racconta anche per dare a ciò che è accaduto un senso. Col racconto di un’avventura, fantastica o no, si desidera far conoscere quello che sarebbe o è avvenuto, ma intanto si dà ai fatti il valore di una conquista, di una delusione, di una scoperta. La narrazione di una sofferenza può assumere il senso di una resa, di un’esaltazione, di una maturazione. Questa necessità di narrare per dare un ordine e un significato alle cose è tipico del racconto, della partecipazione verbale tra giovani coetanei, nel quale il resoconto degli avvenimenti si mescola facilmente, per lo più in modo inconsapevole, con riflessioni generali, con l’evocazioni di massime e di principî, con ragionamenti e giustificazioni ideologiche dell’accaduto. Se la vita riserva sorprese e spavento, il racconto addomestica ciò che inquieta, mette il guinzaglio della ragione agli eventi che, lasciati a se stessi, mordono e spaventano come cani randagi. La narrativa di Pino Mercuri è un’esplorazione di situazioni offerte a un’esposizione di giudizi.
Ne consegue un modo di raccontare movimentato, tumultuoso, in cui gli avvenimenti si intrecciano con il loro effetto introspettivo (sui protagonisti, sull’autore), i fatti sono direttamente messi a confronto con il loro valore ideologico, l’accadere si mescola con immediate considerazioni sull’accaduto. E la scrittura assume un andamento complesso, misto, non addomesticato dallo stile, né da esigenze di coerenza letteraria; ma animato unicamente dalla voglia di raccontare tutto: l’immaginario e la realtà, l’accaduto e i relativi pensieri. Per dare riferimenti precisi a quanto dico: “La sindrome di Bamba” e “Il mostro” sono storie di malesseri psichici ed esistenziali, che subito si disseminano di riflessioni sulla malattia mentale, sulla figura dello psichiatra, sul rapporto dialettico tra curante e paziente. “Omosessuale o disadattato sociale?” è un racconto in cui si condensano e convergono più storie, costellate, dall’inizio alla conclusione, di espliciti interrogativi e osservazioni sulla gioia o sulla pena di vivere, sulla curiosità e la disperazione, sull’euforia e sulla depressione assassina. “Quel lontano 1966” è la cronaca di un incontro au rebour, la retrospettiva di una passione giovanile e incompiuta: e subito alla storia si mescolano pensieri di saggezza, giudizi di chi guarda la vita col senno e la pigra sicurezza della maturità. E potremmo continuare.
Un occhio alla strada e uno sull’orizzonte e nei dintorni: nulla di ciò che accade e viene narrato può sfuggire alla necessità di una interpretazione, di una collocazione nel contesto. E in questa duplice scrittura, narrativa e interpretativa, gli spaventi sono riportati, sono vissuti e commentati oggi allo stesso modo con cui lo sarebbero stati allora: come per Peter Pan, l’autunno di Pino Mercuri si rivela straordinariamente identico alla sua primavera.

La lettura degli Spaventi riporta alla mente un noto autore di racconti romani. In un saggio famoso, Alberto Moravia pose la distinzione tra scrittori e narratori. Appartengono alla prima categoria coloro che pur narrando, vogliono in realtà fare letteratura, si sentono in primo luogo “scrittori”, sono presi dalla ricerca di uno stile, vogliono costruire un canone letterario e la narrazione diventa quasi un pretesto per realizzare tale obiettivo. Viceversa i narratori sono presi dall’impeto del racconto, dal piacere e dalla necessità affabulatoria: il loro primo obiettivo non è la letteratura, ma la vita che prende tono e sapore nell’essere raccontata. Gli Spaventi rivelano in Pino Mercuri un narratore viscerale e forte, con una capacità di sorprendere e di coinvolgere acerba e indomabile, senza reticenze né censure: e questo perché vita e racconto, nella sua capacità di stupore, di fatto coincidono.

Massimo Prampolini

Docente di Semiotica all’Università di Salerno
e di Filosofia del linguaggio all’Università Luiss di Roma